L’ictus cerebrale è definito come una disfunzione focale o globale delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore o ad esito fatale, che non riconosca nessuna altra causa se non quella vascolare.
In base ai meccanismi con cui si verifica l’interruzione di apporto di sangue al cervello, è possibile riconoscere due differenti forme di ictus: ischemico (ischemia cerebrale) ed emorragico (emorragia cerebrale ed emorragia subaracnoidea).
L’ischemia cerebrale è la forma più comune di ictus, rappresenta infatti circa l’83% di tutti gli eventi e si verifica quando il flusso sanguigno diretto al cervello è bloccato e di conseguenza la zona che prima veniva irrorata correttamente può non ricevere abbastanza ossigeno e nutrienti. Se tale ostruzione non si risolve in tempi brevi, in modo spontaneo o tramite un intervento terapeutico tempestivo, il tessuto cerebrale va incontro a sofferenza.
L’emorragia cerebrale si presenta quanto vi è la rottura di un vaso arterioso cerebrale con conseguente stravaso di sangue all’interno del cervello stesso. Questa forma di ictus si presenta nel 14% dei casi mentre l’emorragia subaracnoidea, ovvero la rottura di un vaso sanguigno nello spazio subaracnoideo ovvero tra le membrane meningee che avvolgono il cervello, rappresenta circa il 3% dei casi.
L’ictus cerebrale rappresenta la seconda causa di morte a livello mondiale oltre ad essere la principale causa di disabilità.
L’età media al momento dell’esordio dell’ictus, è più elevata per l’ischemia cerebrale (65 anni circa), mentre l’emorragia subaracnoidea si manifesta in età più giovanile (40 – 50 anni circa); l’emorragia cerebrale si colloca in una posizione intermedia.
La mortalità globale, a 30 giorni dall’evento, è più alta per le emorragie cerebrali (48,1%) e per le emorragie subaracnoidee (34,7%) rispetto alle ischemie cerebrali (21,2%). Ad un anno dall’evento la mortalità è del 33% per l’ischemia cerebrale, del 42% per l’emorragia subaracnoidea e del 57% per l’emorragia cerebrale. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità e di questi, la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza. La probabilità di recidiva ad un anno, va dal 10% al 16% circa, con un rischio 15 volte superiore rispetto alla popolazione generale di pari sesso ed età.
Si stima che nel 2019, a livello globale, l’ictus abbia causato 6,55 milioni di decessi (84,2 casi per 100.000 abitanti) risultando la seconda causa di morte dopo la cardiopatia ischemica, con una incidenza di 12,2 milioni di casi (150,8 casi per 100.000 abitanti) e una prevalenza di 101 milioni di casi (1.240,3 casi per 100.000 abitanti). Più frequente è la forma ischemica di ictus, che ha provocato 3,29 milioni di decessi (43,5 casi per 100.000 abitanti) con un’incidenza di 7,63 milioni di casi (94,5 casi per 100.000 abitanti) e una prevalenza di 77,2 milioni di casi (951 casi per 100.000 abitanti). Seguono l’emorragia cerebrale, causa di 2,89 milioni di decessi (36 casi per 100.000 abitanti) con un’incidenza di 3,41 milioni di casi (41,8 casi per 100.000 abitanti) e una prevalenza di di 20,7 milioni di casi (248,8 casi per 100.000 abitanti), e l’emorragia subaracnoidea causa di circa 373 mila decessi (4,7 casi per 100.000 abitanti) con un’incidenza di 1,18 milioni di casi (14,5 casi per 100.000 abitanti) e una prevalenza di 8,4 milioni di casi (101,6 casi per 100.000 abitanti).
La quinta edizione dello European Cardiovascular Disease Statistics, indica l’ictus come seconda causa di morte in Europa, con 405 mila decessi negli uomini (9%) e 583 mila decessi nelle donne (13%).
I dati Istat del 2018 indicano che anche in Italia le malattie cerebrovascolari sono la seconda causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore, con 55.434 decessi (8,8% di tutti i decessi) di cui 22.062 uomini (7,3%) e 33.372 donne (10,1%).
Nel 2019, in Italia, sono stati registrati 86.360 ricoveri per acuti in regime ordinario per ictus.
Grazie al miglioramento dell’efficacia delle misure preventive, terapeutiche ed assistenziali dell’ictus e dei fattori di rischio, inclusa la maggior diffusione su tutto il territorio Nazionale di Centri Ictus o Stroke Unit, negli ultimi decenni si è osservata una progressiva riduzione dell’incidenza e della mortalità per malattie cerebrovascolari.
Inoltre sono previsti percorsi specifici di riabilitazione neurologica che permettono di ottenere un recupero molto migliore rispetto a quello previsto alcuni anni fa. La Riabilitazione Neurocognitiva ne è un ottimo esempio andando ad agire direttamente a livello cerebrale.
Autore
Manuela Di Simone
La Dott.ssa Manuela Di Simone è Dottoressa in Fisioterapia all’Università degli Studi dell’Aquila. Riabilitatrice Neurocognitiva di I livello presso il Centro Studi di Riabilitazione Neurocognitiva (VI). Specializzata nella riabilitazione neurocognitiva della persona geriatrica, con ictus, con patologia neurodegenerativa. Attualmente lavora come riabilitatrice neurocognitiva presso NeuroRiab - Centro specialistico di riabilitazione post ictus e patologie neurologiche.